Alla scoperta di due punti di forza del Gladbach: Raffael e soprattutto
Dahoud, per la Juventus un avversario ma anche un obiettivo di mercato.
Il 6 novembre 2013 il Borussia Mönchengladbach batteva in trasferta i ciprioti dell’Apollon Limassol in Europa League e stabiliva il nuovo primato di imbattibilità nella storia del club, 18 partite consecutive, una in più del leggendario ‘Gladbach anni 70 di Hennes Weisweiler. Era l’ennesimo mattoncino di una costruzione che, a partire dal 14 febbraio 2011, lo svizzero Lucien Favre , in sinergia con il direttore sportivo Max Eberl, aveva contribuito a rendere anno dopo anno sempre più solida, portando i Fohlen dal fondo della classifica, con la peggior difesa di tutta la Bundesliga , a una stabile dimensione europea, forte di uno dei reparti arretrati meno perforati del campionato tedesco e di un possesso palla inferiore solo a quello del Bayern di Guardiola.
Una costruzione che aveva raggiunto altezze ancora più elevate con il quarto posto in Bundesliga (il secondo centrato da Favre dopo quello con l’Hertha Berlino) e il ritorno in Champions League dopo 37 anni, salvo iniziare a vacillare paurosamente a inizio dell’attuale stagione, per tornare ad assestarsi solo dopo le clamorose dimissioni del tecnico elvetico. La semina di Favre però è stata talmente buona che i prodotti migliori (quantomeno quelli che nel corso degli anni sono rimasti in un club dalle risorse limitate come il Mönchengladbach) hanno continuato a crescere anche senza il loro mentore. Perché senza nulla togliere all’ormai ex traghettatore André Schubert (6 vittorie consecutive in Bundesliga – miglior avvio di un allenatore nella storia dei Fohlen - e il pari a Torino in Champions valgono pienamente la conferma), la rinascita del ‘Gladbach passa dai piedi di due giocatori 100% made in Favre: il brasiliano Raffael e il tedesco-siriano Mahmoud Dahoud , 11 anni di differenza, un maestro in comune.
Con Mahmoud Dahoud il tecnico elvetico è andato sul sicuro, visto che far crescere e maturare giocatori nel ruolo – centrocampista – da lui ricoperto negli anni di calcio giocato è stata una sua prerogativa fin dai tempi dello Zurigo, quando vinse due volte il campionato svizzero (2006 e 2007) mettendo sotto le luci dei riflettori talenti quali Gokhan Inler, Blerim Dzemaili e Xavier Margairaz. Sempre dalla Svizzera Favre aveva portato a Mönchengladbach Granit Xhaka , cresciuto in personalità e cifra tecnica tanto da arrivare a indossare la fascia di capitano, e proprio accanto al mediano elvetico è stato messo il classe ’96 Dahoud, siriano di origine (è nato ad Amuda, città a maggioranza curda nel nord-est del paese) ma cresciuto in Germania fin dall’età di 10 mesi, e calcisticamente formatosi nel vivaio del Fortuna Dusseldorf.
Un giocatore la cui carriera ha conosciuto, a livello tattico, una parabola alla Pirlo, con un progressivo arretramento della sua zona di competenza dalla trequarti alla mediana: non è un caso che le cronache di queste ore lo segnalino come serio obiettivo di mercato per la Juventus . Centrocampista dai piedi buoni, dinamico, ottimo in fase di interdizione ma sufficientemente dotato anche per impostare l’azione, Dahoud è stato aggregato da Favre alla prima squadra dall’under-19 fin dall’estate 2013, quando fece notizia una sua prestazione di grande carattere contro il Bayern Monaco in Telekom Cup, dove aveva affrontato senza alcun timore reverenziale giocatori quali Ribery, Thiago Alcantara e Kroos.
Le partite estive però lasciano sempre il tempo che trovano, e sono più utili a regalare qualche titolo ai giornali piuttosto che a far comprendere il vero valore di un futuro talento. Il suo Dahoud lo sta dimostrando in questo primo scorcio di stagione, ad esempio nel match di Champions contro la Juventus, dove ha disputato una partita perfetta sotto il profilo difensivo, recuperando moltissimi palloni e agendo da solida cerniera in una squadra che proprio nella densità a centrocampo ha trovato la chiave giusta per bloccare i campioni d’Italia. Anche in Bundesliga Dahoud se la sta cavando egregiamente, e non solo come frangiflutti: contro l’Augusburg – prima vittoria della gestione Schubert - ha segnato il suo primo gol da pro, contro l’Eintracht Francoforte è stato uomo-partita entrando in tutte le marcature dei Fohlen con una rete, due assist e un rigore procurato.

Il vero uomo in più del rinato ‘Gladbach è però Raffael Caetano de Araujo , tanto abulico e impacciato nelle prime partite quanto devastante una volta arrivato Schubert. Finora non c’è stata vittoria dei Fohlen in Bundesliga nella quale il classe 85 di Fortaleza non abbia messo il proprio zampino: 3 assist contro l’Augsburg, doppietta all’Eintracht, gol e assist contro Schalke 04 e Stoccarda, gol a Wolfsburg e Herta Berlino. Raffael è un fedelissimo di Favre sin dal 2005, quando due ottime stagioni al Chiasso – serie B svizzera – lo portarono alla corte del tecnico svizzero allo Zurigo per fare il “ Neuneinhalb ” (il 9.5); così lo chiamò lo stesso Favre per indicare la capacità di Raffael di agire come ibrido tra attaccante e playmaker capace di destabilizzare le difese avversarie proprio in virtù di tale fluidità.
Una definizione pienamente indovinata, con Raffael protagonista dei due titoli dello Zurigo sia a livello di reti che di assist, e con la nomina di miglior straniero del campionato come ciliegina sulla torta. Il brasiliano ha poi raggiunto il proprio maestro all’Hertha Berlino e, dopo due tentativi (Favre lo voleva già nel 2011 per sostituire Marco Reus, ma l’Hertha alzò il prezzo e il brasiliano finì alla Dinamo Kiev), al ‘Gladbach. Risultato? 15 gol e 7 assist la prima stagione, 14 e 6 la seconda. Poi si è inceppato lui e per il suo maestro è stata la fine. Ma se oggi il Neuneinhalb continua a trascinare il Borussia, il merito è di una persona sola.
Il 6 novembre 2013 il Borussia Mönchengladbach batteva in trasferta i ciprioti dell’Apollon Limassol in Europa League e stabiliva il nuovo primato di imbattibilità nella storia del club, 18 partite consecutive, una in più del leggendario ‘Gladbach anni 70 di Hennes Weisweiler. Era l’ennesimo mattoncino di una costruzione che, a partire dal 14 febbraio 2011, lo svizzero Lucien Favre , in sinergia con il direttore sportivo Max Eberl, aveva contribuito a rendere anno dopo anno sempre più solida, portando i Fohlen dal fondo della classifica, con la peggior difesa di tutta la Bundesliga , a una stabile dimensione europea, forte di uno dei reparti arretrati meno perforati del campionato tedesco e di un possesso palla inferiore solo a quello del Bayern di Guardiola.
Una costruzione che aveva raggiunto altezze ancora più elevate con il quarto posto in Bundesliga (il secondo centrato da Favre dopo quello con l’Hertha Berlino) e il ritorno in Champions League dopo 37 anni, salvo iniziare a vacillare paurosamente a inizio dell’attuale stagione, per tornare ad assestarsi solo dopo le clamorose dimissioni del tecnico elvetico. La semina di Favre però è stata talmente buona che i prodotti migliori (quantomeno quelli che nel corso degli anni sono rimasti in un club dalle risorse limitate come il Mönchengladbach) hanno continuato a crescere anche senza il loro mentore. Perché senza nulla togliere all’ormai ex traghettatore André Schubert (6 vittorie consecutive in Bundesliga – miglior avvio di un allenatore nella storia dei Fohlen - e il pari a Torino in Champions valgono pienamente la conferma), la rinascita del ‘Gladbach passa dai piedi di due giocatori 100% made in Favre: il brasiliano Raffael e il tedesco-siriano Mahmoud Dahoud , 11 anni di differenza, un maestro in comune.
Con Mahmoud Dahoud il tecnico elvetico è andato sul sicuro, visto che far crescere e maturare giocatori nel ruolo – centrocampista – da lui ricoperto negli anni di calcio giocato è stata una sua prerogativa fin dai tempi dello Zurigo, quando vinse due volte il campionato svizzero (2006 e 2007) mettendo sotto le luci dei riflettori talenti quali Gokhan Inler, Blerim Dzemaili e Xavier Margairaz. Sempre dalla Svizzera Favre aveva portato a Mönchengladbach Granit Xhaka , cresciuto in personalità e cifra tecnica tanto da arrivare a indossare la fascia di capitano, e proprio accanto al mediano elvetico è stato messo il classe ’96 Dahoud, siriano di origine (è nato ad Amuda, città a maggioranza curda nel nord-est del paese) ma cresciuto in Germania fin dall’età di 10 mesi, e calcisticamente formatosi nel vivaio del Fortuna Dusseldorf.
Un giocatore la cui carriera ha conosciuto, a livello tattico, una parabola alla Pirlo, con un progressivo arretramento della sua zona di competenza dalla trequarti alla mediana: non è un caso che le cronache di queste ore lo segnalino come serio obiettivo di mercato per la Juventus . Centrocampista dai piedi buoni, dinamico, ottimo in fase di interdizione ma sufficientemente dotato anche per impostare l’azione, Dahoud è stato aggregato da Favre alla prima squadra dall’under-19 fin dall’estate 2013, quando fece notizia una sua prestazione di grande carattere contro il Bayern Monaco in Telekom Cup, dove aveva affrontato senza alcun timore reverenziale giocatori quali Ribery, Thiago Alcantara e Kroos.
Le partite estive però lasciano sempre il tempo che trovano, e sono più utili a regalare qualche titolo ai giornali piuttosto che a far comprendere il vero valore di un futuro talento. Il suo Dahoud lo sta dimostrando in questo primo scorcio di stagione, ad esempio nel match di Champions contro la Juventus, dove ha disputato una partita perfetta sotto il profilo difensivo, recuperando moltissimi palloni e agendo da solida cerniera in una squadra che proprio nella densità a centrocampo ha trovato la chiave giusta per bloccare i campioni d’Italia. Anche in Bundesliga Dahoud se la sta cavando egregiamente, e non solo come frangiflutti: contro l’Augusburg – prima vittoria della gestione Schubert - ha segnato il suo primo gol da pro, contro l’Eintracht Francoforte è stato uomo-partita entrando in tutte le marcature dei Fohlen con una rete, due assist e un rigore procurato.

Il vero uomo in più del rinato ‘Gladbach è però Raffael Caetano de Araujo , tanto abulico e impacciato nelle prime partite quanto devastante una volta arrivato Schubert. Finora non c’è stata vittoria dei Fohlen in Bundesliga nella quale il classe 85 di Fortaleza non abbia messo il proprio zampino: 3 assist contro l’Augsburg, doppietta all’Eintracht, gol e assist contro Schalke 04 e Stoccarda, gol a Wolfsburg e Herta Berlino. Raffael è un fedelissimo di Favre sin dal 2005, quando due ottime stagioni al Chiasso – serie B svizzera – lo portarono alla corte del tecnico svizzero allo Zurigo per fare il “ Neuneinhalb ” (il 9.5); così lo chiamò lo stesso Favre per indicare la capacità di Raffael di agire come ibrido tra attaccante e playmaker capace di destabilizzare le difese avversarie proprio in virtù di tale fluidità.
Una definizione pienamente indovinata, con Raffael protagonista dei due titoli dello Zurigo sia a livello di reti che di assist, e con la nomina di miglior straniero del campionato come ciliegina sulla torta. Il brasiliano ha poi raggiunto il proprio maestro all’Hertha Berlino e, dopo due tentativi (Favre lo voleva già nel 2011 per sostituire Marco Reus, ma l’Hertha alzò il prezzo e il brasiliano finì alla Dinamo Kiev), al ‘Gladbach. Risultato? 15 gol e 7 assist la prima stagione, 14 e 6 la seconda. Poi si è inceppato lui e per il suo maestro è stata la fine. Ma se oggi il Neuneinhalb continua a trascinare il Borussia, il merito è di una persona sola.
Nessun commento:
Posta un commento